19 LUGLIO 1936 – L’Anarchia all’ordine del giorno

giovedì 19 luglio 2012

ore 19.00

Palermo, Via Lungarini 23

Aperitivo iberico (tapas, sangria, ecc.) e proiezione del film “Libertarias” di Vicente Aranda (Spagna, 1996)

Sinossi del film:
Nei primi giorni della guerra civile spagnola, una giovane suora fugge dal suo convento, incontra un gruppo di miliziane anarchiche che fanno parte dell’organizzazione “Mujeres Libres” (Donne Libere). Comincia il drammatico ed esaltante viaggio verso Saragozza, tra i rigori della guerra, le speranze e le grandi conquiste della rivoluzione sociale spagnola del 1936.

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23 GIUGNO CONTRO LE DISCRIMINAZIONI

L’unica risposta che il Potere sa dare alla società è la repressione, perché è la sola che gli conviene. Domande diverse ricevono risposte uniformi: cariche della polizia a New York, nel 1969 allo Stonewall Inn (a proposito: è per tener viva la memoria della resistenza allora opposta che si celebra ogni anno il Gay Pride in moltissime città del mondo); retate di prostitute clandestine deportate nei C.I.E. (veri e propri lager della ‘democrazia’) e a volte lì stuprate, come è successo a Joy a Torino, con l’unica colpa di essere ricattate e sfruttate; sgombero del centro sociale “Anomalia” da parte del Rettore Lagalla (uomo per tutte le stagioni: prima “sceriffo”, poi “Magnifico Posteggiatore”, e adesso patrono e difensore strenuo dei “diritti civili”).
Peraltro, la repressione non è solo quella evidente, macroscopica e grossolana della polizia: quella microscopica e capillare, il controllo sui desideri, sulle aspirazioni e sui comportamenti di ogni individuo sono demandati ed esercitati dalla cultura nazionalista, razzista, sessista, in definitiva fascista, da cui siamo circondati. Quella stessa cultura del “tranne mia madre e mia sorella sono tutte puttane” che giustifica i ‘femminicidi’ (in Italia ogni tre giorni muore una donna per mano del marito, compagno, ex, fratello, padre: nella nostra regione sono state uccise due ragazze nigeriane, una in via Filippo Juvarra e una a Misilmeri) e colpevolizza le vittime di stupro (“se ti hanno stuprato la colpa è tua; te lo sei cercato”).
Repressione normalizzante che, macroscopica o capillare che sia, colpisce tutti i modelli di famiglie che non prevedano un maschio, bianco, eterosessuale e cattolico con una donna altrettanto bianca, eterosessuale e cattolica e più figli possibili. Perché anche la semplice richiesta di avere riconosciuta la propria esperienza e il proprio vissuto è un atto di rivolta, una sfida al Potere.
Appare dunque evidente che è del tutto impossibile aspettarsi qualcosa di buono dal Potere, politico o religioso che sia. Nella migliore delle ipotesi esso neutralizza qualunque esistente, comunque sospetto, quindi lo assorbe e lo metabolizza facendo in modo che risulti innocuo a fronte della legittimità della propria egemonia. Qualunque affermazione, individuale o collettiva, è possibile solo fuori e contro di esso. Ecco perché bisogna costruire dal basso una cultura liberata e liberatoria: per consentire la massima espressione dell’individuo.

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L’ITALIA È UNA REPUBBLICA FONDATA SULL’INGIUSTIZIA

Neanche i terremoti e le loro tragiche conseguenze riescono a fermare la macchina autocelebrativa del potere. A nulla sono valsi gli appelli dei cittadini affinché le istituzioni dimostrassero un briciolo di decoro e di buon senso. Il 2 giugno, la Festa della Repubblica si celebra lo stesso, a Roma come in altre località. E pazienza se l’Emilia è in ginocchio, se sono morte delle persone, se i paesi sono distrutti e ci sono migliaia di sfollati.

I morti dell’Emilia erano quasi tutti operai. Schiacciati sotto le lamiere di capannoni industriali afflosciati su se stessi come castelli di carte. In Italia si crepa spesso in questo modo, mentre si lavora. Non consola il fatto che si sia trattato di un evento naturale e imprevedibile (ma neanche tanto). Le fabbriche crollate non avevano i requisiti di sicurezza necessari perché la mappatura delle zone a rischio sismico è superficiale e incompleta, e queste strutture erano state realizzate al di fuori delle norme in materia.
In questo paese, l’indifferenza della natura è amplificata dalla trascuratezza degli uomini.
Gli effetti delle alluvioni, delle frane, dei terremoti diventano ancora più devastanti perché l’Italia scricchiola in tutte le sue articolazioni, perché si costruisce male e dove non si dovrebbe, perché dietro a tutto c’è sempre e soltanto la logica del profitto e dello sfruttamento intensivo dei territori e delle risorse.

Gli operai morti in Emilia erano tornati nelle fabbriche, tra una scossa e l’altra, per paura di perdere il lavoro, per portare avanti la produzione a tutti i costi e mantenere oliato l’ingranaggio dello sfruttamento, anche a rischio dell’incolumità personale. Molti degli operai morti in Emilia erano immigrati, vittime del doppio ricatto legato al salario e alla necessità di non perdere, con il lavoro, anche il permesso di soggiorno. Alla fine, le fabbriche sono diventate le loro tombe.

Adesso bisognerà vigilare affinché non si ripetano gli scenari già visti negli ultimi anni in circostanze simili (come all’Aquila): militarizzazione del territorio, mancata ricostruzione e deportazioni di interi nuclei famigliari dalle loro case e dai loro paesi.
Solo con la solidarietà, il mutuo soccorso e appoggio possiamo rivendicare la priorità alla difesa della vita umana contro la logica del profitto. Solo con l’autogestione nei luoghi di lavoro e nel territorio potremo realizzare una effettiva prevenzione verso eventi naturali che purtroppo, per negligenza e logica affaristica, assumono dimensioni di devastazione e lutto verso le popolazioni colpite.

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Info sugli aiuti ai terremotati: http://www.umanitanova.org/terremoto

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AVERE VENT’ANNI

Nel 1992 Giovanni Falcone divenne vittima sacrificale dagli apparati dello Stato che proprio in quegli anni si preparavano a ridefinire gli assetti di potere sconvolti di lì a poco dal terremoto politico di Tangentopoli e dalla caduta dei maggiori partiti di governo. Isolato e osteggiato dalle istituzioni che egli stesso rappresentava, così come tutti i funzionari, i magistrati o gli investigatori che negli anni sono stati ammazzati da Cosa Nostra (stessa sorte toccò a Borsellino pochi mesi dopo), Falcone divenne l’“eroe borghese” usato come scudo da tutti quelli per i quali egli rappresentava la “cattiva coscienza”, gli stessi che dopo la sua morte diedero vita al Movimento antimafia nel nome della legalità, della difesa delle istituzioni, dello Stato e dell’ordine costituito.
La realtà, per molti scomoda, è un’altra: la mafia non è l’“antistato”, né un potere occulto o parallelo. Al contrario, le mafie sono strutture assolutamente compenetrate e assimilate al sistema di potere dominante. Se non ci fosse lo Stato non ci sarebbero neanche le mafie.
E a dimostrazione di ciò si potrebbe fare un elenco infinito di politici, burocrati, funzionari che – in Sicilia e non solo – hanno avuto o hanno ancora rapporti organici con Cosa Nostra e le varie mafie. Non è un caso che lo stesso Falcone ebbe a dire, una volta, che i magistrati la mafia li ammazza prima dentro i palazzi del potere e poi fuori.
Negli ultimi anni, la retorica e l’esaltazione dello Stato, della legalità e delle forze di polizia come unico antidoto al potere mafioso hanno spianato la strada a una concezione blindata della società in cui non c’è via di scampo: o stai dalla parte dello Stato e delle sue leggi, o sei un criminale. In questo modo, anche il dissenso e l’opposizione sociale sono entrate più facilmente nel mirino della repressione: se la legge dello Stato ha sempre ragione e se tutto ciò che non rientra nella legalità è di per se criminale, allora non c’è spazio per chi si oppone alle leggi sbagliate e alle tante ingiustizie che affliggono la nostra società.

Il ventesimo anniversario della strage di Capaci viene a cadere in un momento assai delicato della nostra vita. La profonda crisi economica, i disastri del capitalismo, l’assoluta inadeguatezza di una classe politica corrotta e incapace, l’arroganza dei tecnocrati al governo, stanno spianando la strada a un clima di repressione diffusa, di paura, di tensione crescente.
L’infame attentato di Brindisi, sul quale è stato urlato tutto e il contrario di tutto, si inserisce in un contesto che ricorda molto da vicino i periodi peggiori della nostra storia recente, quando il potere cercava di mettere in riga l’opinione pubblica piazzando le bombe nelle banche, nelle stazioni, sui treni. Da qualunque parte provenga, questa provocazione terroristica sortisce un effetto molto preciso: impaurire le persone, invocare il pugno di ferro, stroncare ogni manifestazione di legittimo dissenso.
Non possiamo permettere che le lancette della storia tornino indietro.

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