Il 25 novembre è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che recentemente è stata dichiarata un’emergenza dall’ONU. Fanno ovviamente riferimento alla violenza di genere, ossia quella esercitata da uomini su fidanzate, mogli, figlie, compagne; emblematico il caso, qui a Palermo, della povera Carmela Petrucci, uccisa a coltellate per difendere la sorella dall’aggressione dell’ex fidanzato che le attendeva sotto casa. E ogni caso ci si affretta a etichettarlo quale raptus, a dire che in fondo “era un bravo ragazzo”, senza volere scoprire le cause che lo hanno originato. Cause che possiamo ritrovare nella cultura nazionalista, sessista, razzista, in definitiva fascista in cui siamo immersi: che porta a uccidere perché “o mia o di nessuno”. La ragazza è sua, di sua proprietà, e non può ribellarsi a tale stato. È quella violenza che uccide una donna ogni tre giorni, dall’inizio dell’anno; per far fronte alla quale si cerca di unire in un “patto di genere” tutte le donne in quanto tali, a prescindere dalle specifiche differenze, contro un nemico comune rappresentato dai maschi. Applicando tale criterio, chiunque ad esempio critichi una donna per, ad esempio, le sue posizioni politiche è automaticamente contro le donne e complice del maschilismo. Questo semplicistico assioma binario (donne buone per natura, maschi cattivi e violenti per natura) non tiene conto delle altre violenze, oltre quella fisica, che vengono compiute ogni giorno sulla pelle delle donne. La prima che salta all’occhio, direttamente connessa alla violenza di genere, è quella economica: consiste sia nella generale diffusione di forme di lavoro “deboli” come quello precario che non comportano garanzie di diritti (alle ferie, alla malattia, alla pensione, ecc.), anche perché spessissimo in nero, sia nella specifica riduzione dei salari alle donne, a parità di lavoro svolto mediamente pagate il 30% in meno dei loro colleghi maschi. La combinazione di questi fattori porta alla dipendenza economica (dai genitori, dal partner) e impedisce di raggiungere l’autonomia. Sul piano pratico costituisce un’arma in più nelle mani di un marito, fidanzato, compagno violento per tenere ancorata a sé la propria vittima (“Ti sbatto fuori di casa!”) e comunque per avere un potere ulteriore su di lei. Gli autori di violenza economica sono certamente trasversali ai generi: basti pensare al ministro Fornero e alle proposte, in materia, del governo Monti. Ma, in nome del suddetto patto di genere, non si possono criticare in quanto donne e quindi buone per natura. Sul piano etico e dei diritti civili, inoltre, come possiamo considerare i ripetuti e ormai quasi quotidiani attacchi alla salute e all’autodeterminazione delle donne, portate avanti dallo Stato e dalle gerarchie ecclesiastiche, se non come ennesima violenza? Non è forse violenza quando si nega una educazione sessuale effettiva, metodi contraccettivi facili e rapidamente disponibili per tutti/e (basti pensare al rifiuto di prescrivere la “pillola del giorno dopo” o all’obiezione di coscienza per i farmacisti), il diritto ad un aborto sicuro? A proposito di quest’ultimo punto, fioriscono in tutta Italia i decreti delle regioni per fare entrare il famigerato Movimento per la Vita nei consultori (in Veneto firmata anche dalla candidata alle primarie del PD Laura Puppato), mentre si tagliano i fondi ai centri antiviolenza costretti a chiudere (quei pochi che ancora restano).
E non è, ancora, violenza sulle donne ogni volta che se ne riduce la sessualità a due stereotipi, o madre casta e santa o puttana? Per le lesbiche, alla violenza che subiscono in quanto donne si aggiunge quella che subiscono in quanto omosessuali, sia in fatto di diritti negati, sia per vere e proprie aggressioni squadristiche da parte di soggetti dichiaratamente fascisti. Per non parlare della violenza razziale che subiscono le migranti che, qui, si vedono costrette ad esercitare la prostituzione, esposte alla violenza dei clienti e dei loro sfruttatori o a quella dei poliziotti, quando vengono arrestate in qualche retata e poi portate nei C.I.E.( Centri di Identificazione ed Espulsione), autentici lager della democrazia, dove spesso vengono stuprate e picchiate se osano ribellarsi.
Non possiamo sperare che questo desolante quadro sia migliorato dall’alto o attraverso le aule dei tribunali. Dobbiamo costruire delle relazioni antiautoritarie, orizzontali, liberate e liberatorie che sovvertano questa cultura opprimente. Solo così riusciremo a eradicare la violenza sulle donne.
Spazio di Cultura Libert’Aria – Palermo