Novanta donne sono state ammazzate dall’inizio dell’anno, più due uomini e tre bambini come vittime collaterali. Praticamente una ogni due giorni.
Le donne assassinate dalla violenza “domestica”(quelle dei famosi delitti “passionali”, o “d’onore” come si chiamavano fino al 5 settembre 1981) che noi contiamo sono solo quelle di cui abbiamo notizia, dato che non esiste in Italia un osservatorio o un’altra struttura simile su questo fenomeno.
Uccise perché cercavano di scappare a situazioni insostenibili, perché c’erano riuscite o ci avevano solo provato. E poi ammazzate la seconda volta quando i giornalisti giustificano l’assassino, sprecando espressioni come “raptus di gelosia” “incapacità di reagire all’abbandono della moglie” o cercando di suscitare empatia nei suoi confronti; non spendendo una sola parola sul dramma di essere importunate, controllate, seguite o aggredite vissuto dalle mogli, fidanzate, compagne di questi uomini violenti. Loro sono solo quelle che abbandonano uomini fragili, quelle che hanno la presunzione di rifarsi una vita e quindi sotto sotto se lo meritano pure. Ogni volta si sottolinea l’assoluta eccezionalità del fatto: è sempre un raptus di follia del singolo senza correlazione con gli altri delitti analoghi.
Perché non c’è la volontà di andare oltre: chi ha armato la mano dell’assassino? È la cultura nazionalista, razzista, sessista e in definitiva fascista da cui siamo circondati. Quella che “tranne mia madre e mia sorella sono tutte puttane”, fa ritenere un rapporto di coppia un rapporto di possesso e la gelosia una dimostrazione di amore. Lo stesso ambiente che fornisce terreno fertile per l’approvazione di nuove leggi securitarie per militarizzare ancora di più il territorio e rispondere alle esigenze delle persone con la repressione. Si stanno preparando ad ammazzarle la terza volta: quando in nome di quelle donne (mogli, fidanzate, compagne) sarà approvata una legge che inasprisca le pene (e già i rigurgiti giustizialisti non sono mancati in questi giorni) e continui ad alimentare quella cultura autoritaria che ogni due giorni uccide una donna.
La risposta alla violenza maschile non è aumentare la violenza dello Stato, che ne trae vantaggio sia per giustificare il suo controllo sulle nostre vite con la scusa della “sicurezza”, sia perché l’oppressione patriarcale è funzionale allo Stato, fornendo una repressione capillare e demandando ad ogni maschio la funzione di “poliziotto” della propria moglie, fidanzata, compagna.
Non possiamo aspettarci che dall’alto cali la soluzione, o che questa passi dalle aule dei tribunali. Siamo noi in prima persona a dovere fondare culture e relazioni che siano liberate e liberatorie da tutte le oppressioni, per un mondo di libertà ed eguaglianza!
Spazio di Cultura Libert’Aria